mercoledì 1 gennaio 2014

PICCOLA RAPSODIA SEMIREAZIONARIA D'INIZIO ANNO SU DETERMINISMO, NEO-DARWINISMO, FREUDISMO, LINGUAGGIO

Freud, è stato scritto, fu un Conquistatore. Nel senso che, forse, nulla ha colonizzato le menti e le coscienze, e nulla ha confuso le coordinate e, per così dire, creolizzato le identità all'interno di se stesse, come la psicanalisi: la quale, oltre e più che diagnosticare complessi, ossessioni, angosce, ha largamente contribuito a crearli, ad instillarli sottilmente, goccia a goccia, nelle menti, fin quasi a plasmare una sorta di freudismo di massa che ha invaso tutto, dall'alta cultura fino alla pubblicità e alle soap opera.
E ha fatto, la psicanalisi, di quelle angosce ossessioni feticci, veri e propri Miti, attraverso il diretto influsso di Freud sulla letteratura e sull'arte: non solo su quelle che sono venute dopo, ma anche sul modo di interpretare quelle del passato (il Sofocle e il Leonardo di Freud sono ormai i nostri: ma fino a che punto riflettono quelli reali, ammesso che sia definibile e conoscibile, in sé e per sé, l'assoluta oggettività di una figura o di un'epoca?).
Il freudismo, dapprima avversato, è divenuto anche una forma di potere. Anzi quasi una religione atea, con il suo profeta, i suoi dogmi, i suoi miti, le sue eresie, il suo paradiso (l'appagamento sessuale) e il suo inferno (l'angoscia, la repressione, ma anche la presunta diversità o la presunta perversione).
Perché Freud e non Frankl? Perché la ricerca di un equilibrio che consenta di "amare e lavorare" (ossia di essere "normali", di essere parte integrante e produttiva di una società concepita ancora in termini utilitaristici e borghesi, e perfettamente collimante con l'odierno efficientismo tecnocratico) e non, invece, la ricerca del Logos, del Senso (fosse pure infine inattingibile) che sta alla base e all'origine e alla meta e al vertice di tutto, anche dell'amare e del lavorare? Forse perché il Senso spaventa ed angoscia, oggi, più del Sesso?

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A proposito di linguaggio e ricerca del senso, del Logos.
Alla luce del neo-darwinismo, come si possono spiegare fenomeni come la differenziazione delle lingue (la quale parrebbe andare contro la ragione per cui il linguaggio verbale dovrebbe essere nato, ossia favorire la coesione fra gli appartenenti alla specie umana, e che non sempre si giustifica alla luce di fattori storici o geografici) e la creatività individuale, la quale spesso (basti pensare a Dante o a Manzoni) condiziona la stessa evoluzione, in senso diacronico, della lingua, e che dubito possa essere spiegata esclusivamente in termini fisiologici o biologici (a meno di non voler tornare a Lombroso o a Nordau)?
Appunto. Bisognerebbe arrivare ad un neo-darwinismo che non fosse riduzionista. Il rischio del riduzionismo e del monismo incombe, mi sembra, su talune prospettive neo-darwiniane. Si tratterebbe appunto di spiegare perché, se siamo fatti di materia come tutti gli altri viventi, il nostro linguaggio verbale (come il pensiero che ad esso è collegato) ha innegabilmente un grado di complessità, di molteplicità, di sfumature, di individualità che non è ravvisabile nei linguaggi degli altri animali (mentre i linguaggi non verbali umani, per quanto possano essere e siano essi stessi storicizzati, socializzati, culturalizzati, trovano, almeno se considerati in nuce, nel mondo animale significative analogie); e vedere in che modo la teoria dell'evoluzione rende ragione di questo scarto abissale, che non sembra possa essere spiegato solo in termini neurofisiologici.
Mi viene in mente ora, per contro, che la proverbiale oscurità della poesia moderna e contemporanea può spiegarsi, metaforicamente, proprio in termini biologici, darwiniani: la poesia si chiude e si ripiega, iniziaticamente, su se stessa per difendersi da una società che vuole negarle ogni valore, annientarla, distruggerla; e forse una lingua si differenzia dalle altre, staccandosi dal sostrato comune, quando l'identità e l'integrità del gruppo umano che la parla vengono minacciate, e un dato patrimonio culturale deve essere difeso dalla contaminazione e dalla profanazione, oltre che trasmesso – può essere il caso della lingua iniziatica dei Dogon studiata da Leiris – , mentre si mescola e si contamina con altre, come nel caso del creolo, regredendo fra l'altro a strutture logico-sintattiche quasi infantili, quando l'esigenza vitale è quella di comunicare con gruppi umani estranei.
Ma si tratta pur sempre di un'evoluzione culturale che non coincide con una mutazione a livello genetico, biologico, fisiologico, e che non so fino a che punto si possa spiegare alla luce della “memetica”, dei fenomeni imitativi, perché non di mimesi si tratta, ma, al contrario, di differenziazione, di creazione, d'innovazione, di scarto – quello "scarto dalla norma" che è cifra essenziale e generatrice di ogni stile letterario è forse alla base, in senso lato, di ogni differenziazione linguistica, nel tempo e nello spazio: tenere in efficienza il linguaggio secondo Pound, dare un senso più puro alle parole della tribù per Mallarmé è la funzione della poesia: e forse all'origine del linguaggio articolato c'è una figura di sciamano-stregone, di thémenos tà onòmata, datore dei nomi, per citare Platone.
A tutto ciò si aggiunga che la teoria della monogenesi delle lingue parrebbe, oggi, aver trovato nuovo fondamento e nuove conferme (Ruhlen, ad esempio). Come si pone, di fronte a ciò, una prospettiva neo-darwiniana?
Alcune delle proto-radici universali individuate o ipotizzate (http://www.merrittruhlen.com/files/Global.pdf) possono derivare dal caso; altre da prestiti e contatti (che è però improbabile si siano estesi ad aree così geograficamente e culturalmente lontane le une dalle altre); altre da trascrizioni fonetiche erronee o accostamenti forzati; altre ancora potrebbero corroborare l'ipotesi di un'origine imitativa, fonosimbolica, onomatopeica del linguaggio (benché anche le onomatopee che riproducono uno stesso rumore naturale varino, spesso notevolmente, da una lingua all'altra: altro fenomeno singolare).
Ma almeno alcune di queste corrispondenze non possono essere casuali, e sono troppo precise, circostanziate, specifiche, e troppo legate a nozioni astratte, per poter essere spiegate alla luce di una o più delle circostanze sopra elencate. 


                                                                       (M. V.)